domenica 26 ottobre 2014

Omaggio a Eduardo.


Eduardo De Filippo, noto semplicemente come Eduardo (Napoli, 24 maggio 1900 – Roma, 31 ottobre 1984), è stato un drammaturgo, attore teatrale, attore cinematografico, regista teatrale,regista cinematografico, sceneggiatore e poeta italiano. Fra i massimi esponenti della cultura italiana del Novecento, è stato autore di numerosi drammi teatrali da lui stesso messi in scena e interpretati e in seguito, tradotti e rappresentati da altri anche all'estero. Per i suoi meriti artistici e i contributi alla cultura, fu nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Sandro Pertini. Fu anche candidato per il premio Nobel per la letteratura.

Figlio naturale dell'attore e commediografo Eduardo Scarpetta e della sarta teatrale Luisa De Filippo, Eduardo e i suoi fratelli furono riconosciuti come figli dalla madre di cui assunsero il cognome De Filippo. Eduardo Scarpetta, sposato il 16 marzo 1876 con Rosa De Filippo, da cui ebbe tre figli: Domenico, Maria e Vincenzo, ebbe una relazione extra-coniugale con Luisa De Filippo (figlia di Luca, fratello di Rosa De Filippo) da cui nacquero Titina, Peppino e Eduardo.

Eduardo nasce a Napoli nel quartiere Chiaia, secondo alcuni in via dell'Ascensione n. 3, per altri in via Giovanni Bausan n. 15. A soli quattro anni è condotto per la prima volta su un palcoscenico, portato in braccio da un attore della compagnia di Scarpetta, Gennaro Della Rossa, in occasione di una rappresentazione dell'operetta La Geisha, al Teatro Valle di Roma. (Fonte Wikipedia).



Le strade inventano gli uomini, e spesso portano i nomi degli uomini che hanno inventato.

-- Eduardo De Filippo --
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/successo/frase-103236?f=a:239>

domenica 19 ottobre 2014

"A' Sfugliatell'"


"So’ doje sore: ‘a riccia e a frolla.
Miez’a strada, fann’a folla.
Chella riccia è chiù sciarmante,
veste d’oro, ed è croccante,
caura, doce e profumata.
L’ata, 'a frolla, è na pupata.
E’ chiù tonna, e chiù modesta,
ma si’ a guarde, è già na festa.
Quann’e ncontre ncopp’o corso
t’e vulesse magnà a muorze.
E sti ssore accussì belle sai chi so’?
So’ ‘e sfugliatelle."



Oggi è domenica e, la domenica è anche il giorno dedicato ai dolci, alle paste, come vengono chiamate quelle che si comprano per portarle a casa o a casa di altri, se si è ospiti.

A Napoli, fra queste, è quasi d'obbligo la presenza di quella ritenuta, a torto o a ragione, il dolce tipico partenopeo: la sfogliatella, riccia o frolla che sia, il suo sapore delicato, la sua forma, il suo colore, il profumo dei suoi ingredienti, lasciano in chi la mangia una piena soddisfazione e dopo anche un lauto pasto, risulta essere la naturale chiusura dello stesso.

Ma come e dove nasce la sfogliatella? La storia non è quasi mai dolce. Ma ogni dolce ha la sua storia.
Di questo dolce tipicamente partenopeo si può tracciare una precisa toponomastica. Infatti il topos della sfogliatella è un monastero, quello di Santa Rosa, sulla costiera amalfitana, fra Furore e Conca dei Marini.
In quel sacro luogo si pregava tanto, ma, trattandosi di un convento di clausura, non si poteva andare da nessuna parte, e quindi di tempo libero ce n’era in abbondanza. Una parte di esso veniva speso in cucina, amministrata in un regime di stretta autarchia, le monache avevano il loro orto e la loro vigna. Anche il pane se lo facevano da sole, cuocendolo nel forno ogni due settimane. Il menu era uguale per tutte e soltanto le monache anziane potevano godere di un vitto speciale, fatto di nutrienti minestrine.
Un giorno di circa 400 anni fa la suora addetta alla cucina si accorse che era avanzata un po’ di semola cotta nel latte. Buttarla, non se ne parlava proprio. Fu così che, ispirata dall'Alto, la cuoca ci buttò dentro un po’ di frutta secca, di zucchero e di liquore al limone. “Potrebbe essere un ripieno”, si disse. Ma cosa poteva metterci sopra e sotto?
Preparò allora due sfoglie di pasta aggiungendovi strutto e vino bianco, e ci sistemò in mezzo il ripieno. Poi, siccome anche in un convento l’occhio vuole la sua parte, sollevò un po’ la sfoglia superiore, dandole la forma di un cappuccio di monaco, e infornò il tutto.
La Madre Superiora sulle prime fiutò il dolce appena sfornato, e subito dopo fiutò l’affare; con quest’invenzione benedetta si poteva far del bene sia ai contadini della zona, che alle casse del convento. La clausura non veniva messa in pericolo: il dolce veniva messo sulla classica ruota, in uscita. Sempre che, sia chiaro, i villici ci avessero messo, in entrata, qualche moneta. A questo dolce venne dato, inevitabilmente, il nome della Santa a cui era dedicato il convento.

Come tutti i doni di Dio, la Santarosa non poteva restare confinata in un sol luogo, per la gioia di pochi. La Santarosa ci mise circa cento cinquantanni per percorrere i sessanta chilometri tra Amalfi e Napoli. Qui arrivò ai primi dell’800, per merito dell’oste Pasquale Pintauro.

Molti avranno da ridire sull'attività di Pintauro che viene ritenuto da tutti i napoletani un pasticciere, e non un oste. Invece nei giorni di cui stiamo parlando era effettivamente un oste, con bottega in via Toledo, proprio di fronte a Santa Brigida. Il suo locale rimase un’osteria fino al 1818, anno in cui Pasquale entrò in possesso, per una via che non è mai stata chiarita, della ricetta originale della santarosa. Quell'anno ci furono due conversioni: Pintauro da oste divenne pasticciere, e la sua osteria si convertì in un laboratorio dolciario.

Pintauro non si limitò a diffondere la santarosa: la modificò, eliminando la crema pasticciera e l’amarena, e sopprimendo la protuberanza superiore a cappuccio di monaco. Nacque così la sfogliatella.
La sua varietà più famosa, la cosiddetta “riccia”, mantiene da allora la sua forma triangolare, a conchiglia, vagamente rococò (con una sola c, per evitare la confusione con il roccocò, altro famoso dolce napoletano).
Oggi la sfogliatella si può assaggiare in tutte la pasticcerie di Napoli. Se si cerca l’eccellenza, la bottega di Pintauro sta sempre là: ha cambiato gestione, ma non il nome e l’insegna, e nemmeno la qualità. Che resta quella di quasi duecento anni fa. Al viaggiatore che arriva alla stazione di Napoli, o che abbia almeno venti minuti fra un treno e l’altro, si consiglia di fare un salto da Attanasio, a Vico Ferrovia, che sforna sfogliatelle calde a getto continuo. Sulla sua “puteca” c’è scritto: “Napule tre cose tene belle: ‘o mare, ‘o Vesuvio e ‘e sfugliatelle”.
I napoletani amano mangiare la sfogliatella rigorosamente calda, appena sfornata: il sapore, se confrontato con quello di una sfogliatella fredda, è incomparabilmente migliore. Un'avvertanza, però, è d'obbligo: storditi dal profumo della sfogliatella appena sfornata, ormai nelle vostre mani, evitate di addentarla voracemente per non causarvi un'ustione al palato. Infatti, la caratteristica sfoglia lamellare è calda, ma il ripieno di ricotta è rovente.


Esistono, oltre alla sfogliatella riccia e frolla, due varianti del dolce campano: la Santarosa, di cui abbiamo già detto, e la coda d'aragosta che, a Salerno è conosciuta con il nome di Apollino, che risulta come una variante della sfogliatella riccia, molto più grande ed allungata e ripiena di panna montata, crema al cioccolato, crema chantilly o marmellata.
Per chiudere, comunque, aggiungerei alle tre cose belle di Napoli di cui parla Attanasio, una quarta: lo sfizio. E' da questa indefinibile arte, intrinseca nei napoletani, che nascono ideazioni come la sfogliatella o come tutte le prelibatezze, non necessariamente culinarie, di cui questa città ci delizia.

lunedì 6 ottobre 2014

Marechiaro.

Non mi stancherò mai di pubblicare i fantastici luoghi e le bellezze naturali della mia città, come Marechiaro, incanto sulla costa del golfo di Napoli.
Marechiaro è un piccolo borgo che si trova nel quartiere Posillipo a Napoli.
È stato negli anni sessanta uno dei simboli della dolce vita in Italia, diventando famoso per le sue frequentazioni hollywoodiane e per i suoi ristoranti tipici che affacciano sullo spendido panorama del golfo. Da Marechiaro inoltre si può ammirare la vista panoramica dell’intera città di Napoli, del Vesuvio, fino ad arrivare alla Penisola Sorrentina e all’isola di Capri che compare esattamente di fronte alla tipica spiaggetta del borgo.
Fenestella.jpgIl particolare che più che ha contribuito alla mitizzazione di questo borghetto è la cosiddetta Fenestella (in italiano finestrella). La leggenda narra che il poeta e scrittore napoletano Salvatore di Giacomo, vedendo una piccola finestra sul cui davanzale c’era un garofano, ebbe l’ispirazione per quella che è una delle più celebri canzoni napoletane: A Marechiaro. Tutt’oggi la finestra esiste, e c’è sempre un garofano fresco sul davanzale, oltre ad una lapide celebrativa in marmo bianco con sopra inciso lo spartito della canzone e il nome del suo autore (morto nell’aprile del 1934). (da wikipedia)

venerdì 3 ottobre 2014

Il Dialetto Napoletano

Il dialetto napoletano diventa patrimonio dell’UNESCO: è la seconda lingua d’Italia



Dialetto diffuso in tutto il sud Italia, ma parlato anche in Abruzzo, Molise, Lazio; lingua esportata in tutto il mondo attraverso la canzone classica napoletana, pian piano si sta "involgarendo". Soprattutto fra i giovani, sono tanti i termini del napoletano che stanno assumendo "connotati volgari" o poco riconducibili al vero ed originale significato di quel vocabolo.
Il mancato insegnamento della lingua napoletana e il suo andarsi man mano perdendo e degradando di valore, ha indotto l'UNESCO a riconoscerla come un "patrimonio da tutelare non solo per l'Italia ma per il mondo intero".
Proprio su questo importante riconoscimento, già nel 1977 il linguista G.B.Pellegrini, nella "CARTA DEI DIALETTI D'ITALIA", all'art.1 riguardante la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, così scriveva in napoletano:

"Tutte ll'uommene nascene libbere e cu' uguale dignità e deritte; tenene raggione e cuscienza e hann'a operà ll'uno cù ll'ate cu' nu spirite 'e fratellanza"




Ti presento napoli.

Magari le immagini riescono a comunicare meglio delle parole.



Omaggio a Massimo Troisi. (19/02/1953 - 04/06/1994)

I eri ricorreva la scomparsa premature del grande Massimo Troisi, (San Giorgio a Cremano, 19 febbraio 1953 – Roma, 4 giugno 1994). Principal...